Digitalizzazione e pratiche commerciali sleali nella filiera agricola e alimentare
di Ferdinando Albisinni
Lo scorso 15 maggio, il Governo italiano ha adottato un decreto-legge, n. 63/2024, in materia di “Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell'acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale”. Tale decreto ha fra l’altro introdotto, all’art. 4, alcune nuove disposizioni, che hanno integrato il testo originale del Decreto Legislativo n. 198 del 2021, di attuazione della Direttiva (UE) in tema di pratiche commerciali sleali.
Dalla lettura delle disposizioni introdotte si può far discendere una riflessione che metta a sistema le pratiche commerciali sleali con le criticità conseguenti dalla crescente digitalizzazione nell’attività agricole.
I profili derivanti dalla acquisizione, conservazione ed utilizzo dei dati digitali durante le attività agricole e alimentari non trovano alcuna regolazione nel contesto unionale mentre, quanto all’ordinamento italiano, come si vedrà, non mancano spazi applicativi e di interpretazione delle norme presenti, tuttavia, potrebbe essere utile introdurre nuove norme in materia di dati digitali.
Da alcuni anni la digitalizzazione ha assunto rilievo crescente all’interno delle attività agricole, ad esempio con l’adozione di tecniche digitali di controllo dell’irrigazione, della semina, degli interventi con fitofarmaci o concimi, dello sviluppo della vegetazione e della presenza di patologie.
Fenomeni analoghi si rinvengono in tutte le fasi della produzione alimentare, attraverso strumenti di controllo digitale degli standard qualitativi ed igienici lungo la filiera.
Da ciò motivate preoccupazioni per: - il controllo dei dati acquisiti nel corso dell’attività (anche attraverso l’uso dei droni, o di sensori); - l’individuazione del soggetto titolare dei dati; - la conservazione, e la trasmissibilità, dei dati raccolti; - la possibile utilizzazione, ed integrazione dei dati; - l’individuazione dei soggetti responsabili per gli eventuali danni; - la possibilità di esternalità negative.
Risulta pertanto necessario disciplinare la titolarità e l’utilizzazione dei dati digitali in agricoltura e nella produzione alimentare, anche in ragione della molteplicità di possibili forme di raccolta di tali dati.
E si pone il problema della interoperabilità dei dati, oltre che della loro titolarità, ai fini dell’utilizzazione, nonché dell’eventuale passaggio del produttore agricolo o alimentare da un fornitore ad un altro.
I provvedimenti legislativi, unionali e nazionali, non hanno sin qui assegnato esplicita attenzione agli effetti dell’impatto della digitalizzazione sulle attività delle imprese agricole e alimentari e la Direttiva 2019 in materia di pratiche commerciali sleali non si occupa di dati digitali.
In particolare, la Direttiva (UE) 2019/633 in tema di “Pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare”, che pure ha introdotto novità rilevanti, siccome intesa a definire “pratiche commerciali sleali vietate nelle relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare” ed a stabilire “norme minime concernenti l'applicazione di tali divieti”, si occupa della sola “vendita di prodotti agricoli e alimentari”, a valle della produzione, trascurando i beni immateriali ed i servizi che, a monte, fanno ormai abitualmente parte dell’attività delle imprese agricole ed alimentari e della loro stessa struttura organizzativa.
La scelta del legislatore europeo di limitare il proprio intervento sulle pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare alla sola vendita dei prodotti non sorprende, risultando in qualche misura conseguente alla definizione di attività agricola confermata dai regolamenti (UE) del 2021 di riforma della PAC, ove l’attività agricola è definita in riferimento a “la produzione di prodotti agricoli” oltre che per lo svolgimento di servizi ambientali (art. 4.2. del Reg. (UE) 2021/2115).
Il legislatore italiano, invece, già oltre venti anni fa, con il decreto legislativo n. 228 del 2001 “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”, facendo proprie le sollecitazioni verso il riconoscimento di un’impresa agricola di servizi, ha introdotto un modello aperto sotto più profili. In particolare, il vigente art. 2135 cod. civ. individua l’attività agricola non nella “produzione di prodotti agricoli”, ma nelle “attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale…”
L’acquisizione, la raccolta, la conservazione, e l’utilizzazione di dati digitali in agricoltura rientrano tra le attività “dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale”. Si tratta dunque di una componente propria dell’attività dell’impresa agricola, come tale riconosciuta, e quindi tutelata, dall’ordinamento.
Considerato che i dati digitali ottenuti durante le attività agricole rientrano nella nozione di beni siccome suscettibili di formare oggetto di diritti ex art. 810 cod. civ., e che si tratta di beni ottenuti attraverso l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola, ne segue che costituiscono beni dei quali è naturalmente titolare l’impresa che li produce, anche se tale produzione avviene utilizzando risorse fornite da terzi (come del resto avviene in tutte le attività agricole, in cui vengono ad esempio utilizzati sementi o concimi forniti da terzi).
Analoghe esigenze si pongono per i produttori di alimenti collocati lungo la filiera, pur in assenza per essi di una definizione comprensiva quale quella di cui all’art. 2135 Codice civile.
Va detto che l’art. 9 della Direttiva (UE) 2019/633, rubricato “Norme nazionali”, consente norme nazionali più rigorose o che investono pratiche commerciali sleali che non rientrano nell’ambito della direttiva. Ed alcuni possibili spazi interpretativi delle disposizioni sulle pratiche commerciali sleali, per estenderne l’applicazione anche ai contratti e rapporti in tema di digitalizzazione nella filiera agroalimentare, potrebbero essere individuati nel Decreto Legislativo n. 198/2021 di attuazione in Italia: - nell’art. 4, co. 1, lett. h), che tutela i segreti commerciali e qualsiasi altra informazione commerciale sensibile del fornitore;”; - nell’art. 5, co. 1, lett. h), che vieta in linea generale “l’adozione di ogni ulteriore condotta commerciale sleale”.
Tali disposizioni potrebbero già oggi consentire in via interpretativa di sanzionare le pratiche commerciali sleali a danno delle imprese agricole ed alimentari, per quanto attiene la cessione, utilizzazione, conservazione, e trasferimento dei dati digitali di tali imprese.
Tuttavia, un intervento operato soltanto in via interpretativa, rischierebbe di suscitare contenziosi e conflitti, dannosi per le imprese, che hanno necessità di operare in un quadro di certezze. Tra le vie che appaiono percorribili nell’immediato, potrebbe immaginarsi un’integrazione dell’art. 4 “Interventi per il rafforzamento del contrasto alle pratiche sleali” del richiamato decreto-legge n. 63/2024 che, in sede di conversione, potrebbe già prevedere una disciplina “esplicita” dei dati digitali.
Appare pertanto opportuno che il legislatore unionale e quello nazionale intervengano tempestivamente in materia, vietando esplicitamente talune pratiche commerciali in agricoltura e nell’alimentare relative all’utilizzazione dei dati digitali, confermando anche sotto questo profilo la specialità di attività che operano all’interno del ciclo biologico, nelle sue plurime declinazioni.