Il caso “Pandoro Pink Christmas”: l’ingannevolezza della comunicazione sui nuovi media nel settore agroalimentare
Di Angelo Rainone
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in breve, AGCM) in data 15 dicembre 2023 ha sanzionato le società Fenice S.r.l. e TBS Crew S.r.l., che gestiscono i diritti sui segni distintivi e d’immagine della nota influencer Chiara Ferragni, nonché la società piemontese Balocco S.p.A. Industria Dolciaria rispettivamente per 400 mila Euro, 675 mila Euro e 420 mila Euro, contestando l’attuazione da parte delle tre società di pratiche commerciali scorrette legate alla pubblicizzazione del “Pandoro Pink Christmas”, “griffato” con il marchio “Chiara Ferragni”.
Tale iniziativa di co-branding, presentata al pubblico nel corso dell’inverno 2022 e denominata “Chiara Ferragni e Balocco insieme per l'ospedale Regina Margherita di Torino”, consisteva nella realizzazione di un pandoro Balocco “limited edition” caratterizzato da un packaging contenente uno spolvero di colore rosa riportante il marchio “Chiara Ferragni”, i cui proventi sarebbero stati in parte devoluti in donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino, allo scopo di sostenere un innovativo progetto di ricerca in campo di oncologia pediatrica.
Tuttavia, il 14 giugno 2023 l’AGCM ha aperto un’istruttoria nei confronti delle tre imprese coinvolte nel progetto a seguito di una serie di segnalazioni pervenute all’Autorità il 19 gennaio, 10 marzo e 17 aprile 2023 da parte della “Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi”, nelle quali si lamentava l’ingannevolezza della iniziativa.
All’esito delle indagini, l’AGCM ha concluso che il “Pandoro Pink Christmas” era stato commercializzato con modalità ingannevoli, lasciando intendere ai consumatori che, comperandolo (per di più, al prezzo di oltre 9 Euro, anziché di circa Euro 3,70 del pandoro “non griffato”), avrebbero contribuito direttamente a finanziare una donazione da parte delle tre società all’Ospedale piemontese, finalizzata all’acquisto di un innovativo macchinario per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing.
In realtà, la donazione (di 50 mila Euro) era stata già effettuata dalla sola Balocco durante il mese di maggio 2022 (prima ancora che iniziassero le vendite del “Pandoro Pink Christmas”), mentre le società Fenice e TBS Crew, a fronte di un guadagno di circa 1 milione di euro a titolo di corrispettivo per la licenza del marchio e per la realizzazione dei contenuti pubblicitari, nulla in realtà avevano versato all’Ospedale. Pertanto, non sussisteva alcuna correlazione tra l’acquisto del pandoro e l’ammontare della somma donata, che era già stata decisa a monte dell’operazione.
Nello specifico, tra le comunicazioni pubblicitarie “incriminate” dall’Antitrust figurano un comunicato stampa congiunto del 2 novembre 2022, diffuso al pubblico per presentare l’iniziativa, che riportava in modo esplicito che le vendite del Pandoro “griffato” sarebbero servite a reperire i fondi utili alla donazione (che in realtà era già stata effettuata 6 mesi prima), affermando che: “Lo storico brand piemontese Balocco, riconosciuto ed apprezzato nel mondo per l’eccellenza della sua offerta natalizia, presenta una novità esclusiva: il pandoro Chiara Ferragni, le cui vendite serviranno a finanziare un percorso di ricerca promosso dall’Ospedale Regina Margherita di Torino, attraverso l’acquisto di un nuovo macchinario che permetterà di esplorare nuove strade per le cure terapeutiche dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing”.
Il contenuto di tale comunicato veniva poi riprodotto in forma sintetica anche sul cartiglio che accompagnava i packaging dei pandori, nonché in vari post e stories pubblicati da Chiara Ferragni sui suoi profili social, in cui l’influencer lasciava intendere che comprando il “Pandoro Pink Christmas” si poteva contribuire alla donazione e che lei stessa partecipava direttamente alla donazione, circostanza risultata non rispondente al vero alla luce dell’istruttoria svolta dall’AGCM.
Tale strategia comunicativa è stata ritenuta scorretta e contraria agli obblighi informativi e di diligenza professionale di cui agli articoli 20 comma II, 21 e 22 del Codice del Consumo, che disciplinano le pratiche commerciali scorrette ed in particolare le pratiche commerciali ingannevoli omissive e commissive. In sintesi, nell’ottica di tutelare al meglio il consumatore, il Codice stigmatizza l’assenza di chiarezza nella comunicazione aziendale in ogni sua declinazione: infatti, mentre le pratiche ingannevoli “attive” (art. 21 del Codice del Consumo) consistono nel dare informazioni non veritiere o formulate in modo tale da indurre il consumatore in errore, le pratiche commerciali ingannevoli “omissive” (art. 22 del Codice del Consumo) sono quelle in cui il professionista tralascia indicazioni utili, presentando al consumatore informazioni in modo ambiguo.
Nel caso di specie, la condotta delle tre società è stata ritenuta ingannevole in quanto ha limitato sia tramite affermazioni mendaci che omissioni ambigue la libertà di scelta e di informazione dei consumatori, non solo facendo leva sulla loro sensibilità verso iniziative benefiche, ma anche sfruttando a tal fine il potere attrattivo del marchio “Chiara Ferragni”, con un effetto decettivo. L’Autorità ha ritenuto, inoltre, che anche il prezzo maggiorato del pandoro “griffato”, pari a circa due volte e mezzo il prezzo del “Pandoro classico Balocco”, abbia contribuito a indurre in errore i consumatori, rafforzando - in assenza di indicazioni contrarie - la loro percezione di poter contribuire direttamente alla donazione acquistando il “Pandoro Pink Christmas”. L’illecito è, dunque, derivato da una combinazione di condotte sia attive che omissive, che hanno contribuito a falsare in modo apprezzabile il comportamento economico che il consumatore ha assunto in relazione al prodotto in questione, dovendosi invece valorizzare secondo l’Antitrust la verità e soprattutto la chiarezza quali elementi imprescindibili nel marketing d’impresa.
Ad ogni modo, la decisione dell’AGCM è ancora impugnabile innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, funzionalmente competente a decidere sui provvedimenti dell’Autorità antitrust. L’azienda piemontese ha, infatti, dichiarato di non condividere la decisione e di riservarsi “di agire nelle sedi opportune per tutelare i propri diritti”; anche Chiara Ferragni si è dichiarata intenzionata ad impugnare la decisione, difendendo la propria buona fede nell’organizzare questa iniziativa. Le tre società coinvolte potrebbero, tuttavia, non solo dover difendere le proprie posizioni in sede amministrativa, ma anche penale: in data 16 dicembre 2023, infatti, il CODACONS ha dichiarato di voler procedere ad effettuare un esposto presso 104 Procure della Repubblica, affinché valutino l’apertura di indagini preliminari per la possibile commissione da parte delle persone fisiche coinvolte del reato di truffa aggravata.
In ogni caso, il provvedimento dell’AGCM impone al mondo dell’imprenditoria una riflessione sui rischi legati alle operazioni di marketing volte ad influenzare le scelte dei consumatori in assenza di adeguate garanzie di trasparenza e di informazione, nonché sull’importanza che riveste oggi la verità e la chiarezza nella comunicazione aziendale lato sensu intesa: tale riflessione non va limitata solo alle iniziative pubblicitarie, ma – in un’ottica sistematica – anche ad un uso corretto e non ingannevole dei marchi d’impresa, alla luce della funzione attrattivo-pubblicitaria e non più solo meramente distintiva che essi hanno assunto nelle attuali dinamiche di mercato. L’approccio deve essere ancor più rigoroso quando la comunicazione avviene in settori cruciali per l’economia nazionale - come quello agro-alimentare - tramite i social media, in cui le informazioni sono condensate nei pochi caratteri di un tweet o di una storia, e col ricorso alla figura degli influencers, nei quali i followers ripongono la propria fiducia abbassando, pertanto, la soglia della diligenza: in queste condizioni è assolutamente necessario che le informazioni siano facilmente interpretabili, presentate in modo chiaro e dal significato univoco, allo scopo di tutelare i diritti dei consumatori all’informazione e alla libera autodeterminazione del proprio comportamento economico.