Il nuovo ruolo della blockchain per la tracciabilità della filiera alla luce della legge sul “made in Italy”
di Angelo Rainone
La legge del 27 dicembre 2023, n. 206 intitolata "Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy" ha introdotto un corpus eterogeneo di norme che tocca numerose tematiche, spaziando dall’istruzione (con l’introduzione del discusso “Liceo del Made in Italy”) alla lotta alla contraffazione, legate dal fil rouge della promozione del concetto di “italianità” e di valorizzazione dell’identità culturale e dell’eccellenza dei processi produttivi nazionali.
Coerentemente, anche la relazione illustrativa che accompagnava il disegno di legge, approvata nel dicembre 2023, indicava quale obiettivo della normativa “il sostegno allo sviluppo e alla modernizzazione dei processi produttivi e delle connesse attività funzionali alla crescita dell'eccellenza qualitativa del made in Italy”, sottolineando come il Governo, in sede di elaborazione del D.D.L., abbia inteso valorizzare le esigenze del tessuto imprenditoriale nazionale sulla base di quanto emerso nel corso dell'indagine conoscitiva sul tema "Made in Italy: valorizzazione e sviluppo dell'impresa italiana nei suoi diversi ambiti produttivi", condotta dalla Commissione “Attività produttive, commercio e turismo” della Camera dei deputati.
In particolare, di grande interesse per il comparto agroalimentare è l’art. 47, rubricato “Blockchain per la tracciabilità delle filiere” e incentrato sulla possibilità di utilizzare le tecnologie basate su registri distribuiti (o DLT, acronimo derivante dall’espressione inglese distributed ledger technologies e indicante la famiglia di tecnologie a cui appartiene la blockchain) per garantire la tracciabilità della supply chain; si tratta di un tema forse poco noto al dibattito pubblico, ma di estremo interesse, anche in ragione dell’importanza che l’industria del food riveste nell’economia nazionale.
La nozione di “tracciabilità” può essere rinvenuta all’interno dell’ordinamento sovranazionale dell’Unione Europea nel “Regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare”. All’art. 2 il Regolamento definisce la tracciabilità come “la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”; e all’art 18 prevede come norma di principio (quindi non direttamente vincolante) quella secondo cui gli Stati membri debbono garantire la tracciabilità di “tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento” e che a loro volta gli operatori economici del settore agroalimentare debbono poter “individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento”. Lo stesso legislatore europeo, dettando questo principio generale mostra la sua consapevolezza dell’importanza di tener traccia delle fasi produttive di un alimento al Considerando 28, che sottolinea che “l'esperienza ha dimostrato che l'impossibilità di ricostruire il percorso compiuto da alimenti e mangimi può mettere in pericolo il funzionamento del mercato interno di tali prodotti. Occorre quindi predisporre un sistema generale per la rintracciabilità dei prodotti che abbracci il settore dei mangimi e alimentare, onde poter procedere a ritiri mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai funzionari responsabili dei controlli, evitando così disagi più estesi e ingiustificati quando la sicurezza degli alimenti sia in pericolo”.
Tuttavia, la tracciabilità della filiera rimane una problematica ancora oggi in gran parte irrisolta; per cui, l’art. 47 della legge sul “made in Italy” metaforicamente raccoglie l’invito dell’ordinamento sovranazionale affidandosi alle tecnologie basate su registri distribuiti, autorizzando la spesa di 4 milioni di euro per l'anno 2023 e di 26 milioni di euro per l'anno 2024 affinché il Ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT, nuova denominazione assunta dal Ministero dello Sviluppo Economico) promuova la ricerca applicata, lo sviluppo e l'utilizzo della tecnologia blockchain per la tracciabilità e la valorizzazione della filiera del made in Italy.
La norma, in realtà, non riguarda solamente il settore agroalimentare, ma ha più ampio respiro e coinvolge potenzialmente tutti i settori dell’industria; tuttavia, il legame con il food è evidente, sia per la speciale importanza che il tema della tracciabilità riveste in questo settore, sia perché dalla lettura dei lavori parlamentari si rinvengono alcune proposte di emendamento – come il non approvato art. 47-bis, rubricato “Misure per la promozione di moderni sistemi digitali nel settore alimentare” – che lasciano trasparire un evidente legame tra questa norma e l’industria agroalimentare.
La ragione per cui ci si è rivolti a questa tecnologia risiede nella sua intrinseca attitudine a rendere sostanzialmente immutabili i dati in essa contenuti e nell’impossibilità per gli agenti esterni agli operatori della piattaforma distribuita su cui la blockchain si basa a intervenire su tali dati. In virtù di questa caratteristica le DLT si presentano come un sistema di certificazione particolarmente efficiente per l’archiviazione dei dati relativi ai processi produttivi, in quanto una volta inseriti essi non sono più manipolabili a posteriori, grazie all’hashing crittografico; le tecnologie basate su registri distribuiti, pertanto, rispondono alle esigenze di certezza, trasparenza e tracciabilità necessarie per i consumatori finali ad avere piena contezza delle caratteristiche e della “storia” del prodotto acquistato.
La possibilità di applicare la blockchain per tracciare la filiera è stata, in realtà, teorizzata già da alcuni anni e rappresenta, a parere di molti, uno dei case studies più promettenti. A tal proposito, lo studio OCSE intitolato “Blockchain per le PMI e gli imprenditori in Italia”, commissionato dal Ministero dello sviluppo economico nel 2020, conferma che “l’ampio e diversificato settore manifatturiero italiano offre interessanti opportunità per gli sviluppatori di soluzioni basate sulla blockchain, per la tutela del Made in Italy e la qualità e sostenibilità dei prodotti, oltre che per la protezione della proprietà intellettuale e dei diritti d'autore. Vi sono numerosi progetti e casi d'uso sviluppati da startup e PMI innovative italiane volti a rispondere alle esigenze dei settori dei macchinari, dell'agroalimentare, tessile e dell'arte, nei quali le caratteristiche della trasparenza, dell'immutabilità, della decentralizzazione, della sicurezza e dell'efficienza rivestono particolare interesse” e che pertanto questa tecnologia andrebbe impiegata “per l'erogazione di servizi nei settori di eccellenza identificati con il marchio Made in Italy (per esempio, il settore dei macchinari, quello tessile o alimentare)”.
Avvalendosi dei dati raccolti dal Ministero per lo sviluppo economico e dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, lo studio ha individuato un nutrito gruppo di imprese che sviluppano piattaforme blockchain per il mercato (escluse le piattaforme di scambio di criptovalute, come bitcoin), delle quali il 21% opera nel settore agroalimentare.
Tra i progetti individuati si può menzionare sicuramente quello portato avanti da Barilla in relazione al famoso "Pesto di basilico", uno dei prodotti forse più iconici della produzione della storica azienda parmense, realizzato tramite la piattaforma "Connecting Food", gestita dall'omonima start-up innovativa milanese che si occupa di fornire servizi di tracciabilità tramite tecnologie basate su registri distribuiti. Tale iniziativa è volta a garantire la tracciabilità della filiera produttiva del basilico con cui viene realizzato il pesto, usando a tale scopo le DLT. Il basilico viene così tracciato dalla coltivazione alla lavorazione e ciascun barattolo di pesto viene marcato con un codice QR, che consente al consumatore di visualizzarne l'intera supply chain.
La blockchain sta quindi diventando un'opzione sempre più attraente anche per i consorzi di tutela di prodotti DOP/IGP, in quanto viene usata, inter alia, anche da Aceto Balsamico di Modena IGP, Cioccolato di Modica IGP, Pomodoro Pachino IGP, Parmigiano Reggiano DOP e Pecorino toscano DOP per verificare il rispetto da parte dei produttori locali dei requisiti indicati nei disciplinari. Sono numerose anche le iniziative portate avanti autonomamente dalle imprese facenti parte dei consorzi di tutela delle DOP/IGP, le quali sfruttano la blockchain per dimostrare al mercato l’affidabilità della supply chain dei propri prodotti. Alcuni esempi sono le iniziative di Spinosa, uno dei principali produttori di Mozzarella di Bufala campana DOP, di BioItalia, un produttore di Pomodorini del Piennolo del Vesuvio DOP e del Caseificio Pallavicina, produttore di Grana Padano DOP.
Tuttavia, anche in virtù dell’assenza di meccanismi di coordinamento dei vari progetti sorti “spontaneamente” nel corso degli anni, il quadro delle piattaforme blockchain in Italia è al momento estremamente frammentato, esistendo numerose piattaforme, oltre alle ormai ben note “Bitcoin” ed “Ethereum”, con strutture e caratteristiche anche molto diverse tra loro e non sempre in grado di garantire la sicurezza dei dati registrati al loro interno. Allo scopo di razionalizzare questo scenario, il comma II dell’art. 47 istituisce presso il MIMIT un catalogo nazionale per il censimento delle tecnologie basate su registri distribuiti conformi alle previsioni dell’articolo 8-ter del D.L. 14 dicembre 2018 n. 135, ossia la norma che dà la definizione di blockchain e disciplina il valore legale delle informazioni in essa contenute all’interno del nostro ordinamento. La definizione degli standard tecnici che queste tecnologie devono possedere ai fini dell’inserimento nel catalogo, nonché le modalità di tenuta e funzionamento dello stesso sarà oggetto di un futuro decreto del MIMIT, che sarà adottato sentita l’Agenzia per l’Italia digitale.
Il catalogo nazionale provvederà altresì al censimento dei nodi che rispondono ai requisiti dettati dall’”European Blockchain Services Infrastructure” – una partnership nata nel 2018 comprendente 29 Paesi con l’obiettivo di sfruttare la blockchain per creare servizi transfrontalieri per le pubbliche amministrazioni e le imprese – allo scopo di mettere in contatto questo progetto europeo con le iniziative nazionali e in particolare con la ”Italian Blockchain Service Infrastructure”, un progetto a sua volta promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale (in collaborazione con CIMEA, CSI Piemonte, ENEA, INAIL, INFRATEL ITALIA, INPS, Politecnico di Milano, Poste Italiane, RSE, GSE, SOGEI e Università di Cagliari), che punta a sperimentare la modalità di progettazione e sviluppo di un ecosistema fondato su tecnologie basate su registri distribuiti.
L’art. 47 non ha dunque una vera e propria portata precettiva, ma è piuttosto una norma programmatica, diretta a innovare i sistemi produttivi del Paese e ad affrontare, ancorché su base volontaria, l’annoso problema dell’opacità delle filiere, che mal si sposa con l’eccellenza e la qualità di cui si fregia la nostra tradizione agroalimentare. La sperimentazione della blockchain rappresenta dunque, insieme all’introduzione del contrassegno “made in Italy” di cui all’art. 41 della legge in questione, uno strumento volto a rafforzare l’affidabilità dei prodotti nostrani e di conseguenza la loro attrattività, offrendo al mercato e ai consumatori la prova concreta che tutta la supply chain di un prodotto italiano si sia effettivamente svolta sul territorio nazionale.