L’informazione al consumatore sull’impatto ambientale dei prodotti alimentari: Francia e Italia a confronto
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di Marica Mileo
Lo scorso 26 marzo 2024 è entrata in vigore la Direttiva 825/2024/UE, che modifica le Direttive 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali e 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, «per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione» (così detta “Direttiva Greenwashing”). L’atto, adottato dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea sulla base dell’art. 114 TFUE, ha come obiettivo la salvaguardia della libertà di scelta dei consumatori, facendo sì che le informazioni che vengono fornite sulle caratteristiche ambientali dei prodotti all’interno di una comunicazione commerciale non siano generiche o difficilmente verificabili e comparabili.
Esaminando le Comunicazioni della Commissione, «Il Green Deal europeo», «Una strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente», nonché la «Nuova agenda dei consumatori», finalizzata a «rafforzare la resilienza dei consumatori per una ripresa sostenibile», si può agevolmente constatare come – proprio ai consumatori – venga assegnato un ruolo centrale nella transizione verde e nelle iniziative volte a ridurre l’impronta ambientale dei sistemi alimentari, tra le principali cause dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale. Correttamente informato e messo, quindi, nelle condizioni di compiere scelte consapevoli, il consumatore è in grado di contribuire allo sviluppo di nuovi modelli, stimolando la domanda e, conseguentemente, l’offerta di prodotti alimentari più sostenibili (oltre a esercitare il proprio diritto all’informazione).
Nel «considerando» (1) della citata Direttiva, invero, viene affermata l’opportunità di introdurre nella normativa dell’Unione norme specifiche, volte a contrastare le pratiche commerciali sleali che ingannino i consumatori e impediscano loro di compiere scelte di consumo sostenibile e che consentiranno, agli organi nazionali competenti, di far fronte efficacemente a tali pratiche, superando le difficoltà incontrate nell’applicazione delle previsioni della direttiva 2005/29/CE alle pratiche sleali nello specifico settore dell’ambiente (Rubino, 2024).
In attesa dell’adozione delle misure necessarie per conformarsi, da parte degli Stati membri, è interessante verificare come l’informazione al consumatore sull’impatto ambientale dei prodotti alimentari sia già, allo stato, disciplinata in due di questi, Francia e Italia.
Il 22 agosto 2021, in Francia, è stata promulgata la Loi n° 2021-1104 «portant lutte contre le dérèglement climatique et renforcement de la résilience face à ses effets». La legge, anche nota come “Loi climat et résilience”, composta da ben 305 articoli, ha apportato importanti novità anche in tema di informazioni al consumatore e di pubblicità.
Segnatamente, codesto provvedimento legislativo, con gli articoli 2 e 12, ha modificato il Codice dell’ambiente (Code de l’environnement), prevedendo l’obbligatorietà di un’indicazione («affichage»), da effettuarsi attraverso un marchio, l’etichetta o qualunque altro mezzo idoneo, finalizzata a fornire al consumatore un’informazione relativa agli impatti ambientali (e al rispetto dei criterî sociali) di determinati beni e servizî, e vietando nelle pubblicità le asserzioni ambientali volte ad affermare la neutralità di un prodotto in termini di emissioni di gas a effetto serra (a meno che non sia reso facilmente disponibile dall’inserzionista un bilancio delle emissioni, la procedura attraverso la quale le emissioni sono evitate, ridotte, infine compensate). Per il caso di inosservanza degli obblighi «d’affichage» e nel caso di utilizzo di indicazioni che non rispettino i requisiti stabiliti dalla legge, sono previste sanzioni amministrative, il cui massimo non potrà eccedere i 3.000 euro per le persone fisiche e i 15.000 euro per le persone giuridiche. Allo stesso modo, per quanto riguarda le asserzioni ambientali di neutralità in termini di emissioni dei prodotti, la legge dispone che l’Autorità amministrativa – alle condizioni fissate per decreto dal Consiglio di Stato – possa sanzionare il mancato rispetto del divieto, o l’inosservanza degli obblighi previsti, con un’ammenda di euro 20.000 per le persone fisiche ed euro 100.000 per le persone giuridiche (importi, questi ultimi, che possono essere portati alla totalità delle spese destinate all’operazione illegale).
Quanto all’«affichage environnemental», l’articolo 2, II, ha previsto, inoltre, sperimentazioni, per una durata massima di cinque anni dalla promulgazione della legge, al termine delle quali un decreto fisserà la lista delle categorie dei beni e dei servizî per i quali l’indicazione sarebbe divenuta obbligatoria. La priorità è stata data, per ovvie ragioni, ai settori del tessile e dei prodotti alimentari. Proprio con riferimento a questi ultimi, la sperimentazione “lanciata” dall’allora Ministère de la transition écologique (MTE) e dall’Agence de la transition écologique (ADEME), i cui risultati sono confluiti nel rapporto del Governo presentato al Parlamento nel marzo del 2022, si è conclusa nel 2021. Sono seguite ulteriori sperimentazioni negli anni successivi, finalizzate a mettere a punto un dispositivo che, a oggi, tuttavia, non ha ancòra “preso servizio”.
Il provvedimento legislativo ha modificato anche il Codice del consumo (Code de la consommation) introducendo – alla lettera b), dell’articolo L. 121-2, 2° – l’impatto ambientale («impact environnemental») tra le caratteristiche essenziali dei beni o dei servizî che, se oggetto di dichiarazioni false o comunque di natura tale da indurre in errore il consumatore, portano alla qualificazione di tali condotte quali pratiche commerciali ingannevoli («trompeuses»); inoltre, alla successiva lettera e) la materia ambientale («matière environnementale») è indicata tra gli àmbiti della portata degli impegni dell’inserzionista sui quali presentazioni false o tali da indurre in errore il consumatore integrano, allo stesso modo, pratiche commerciali ingannevoli. A presidiare le nuove ipotesi, è stata innalzata all’80% delle spese sostenute per la realizzazione della pubblicità o della pratica costituente il delitto, la percentuale del 50% già prevista dall’articolo L. 132-2 del codice del consumo, quale ipotesi di calcolo alternativa per l’ammontare dell’ammenda prevista dal comma 2.
In Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha svolto – e continua a svolgere – un’importante azione di contrasto alle dichiarazioni ambientali ingannevoli, pur in assenza di disposizioni ad hoc.
Anche recentemente, col procedimento sanzionatorio PS12496, conclusosi col Provvedimento n. 31025 del 16 gennaio 2024 (che, lo si anticipa, non ha poi ritenuto nel caso di specie, sussistere la fattispecie ipotizzata) è stata sottoposta al vaglio dell’Autorità la comunicazione commerciale diffusa da una nota società del settore avicolo avente a oggetto asserzioni impiegate dal professionista circa «la sostenibilità ambientale della propria attività imprenditoriale ed i progetti di compensazione delle emissioni». Le asserzioni censurate erano contenute in sezioni e documenti consultabili sul sito web aziendale, mentre altre erano presenti nel bilancio di sostenibilità relativo all’anno 2021 sempre consultabile sul sito (indicazioni queste ultime che, in tesi difensiva, neanche sarebbero state valutabili alla stregua di un messaggio pubblicitario, non essendo redatte per finalità commerciale e non avendo lo scopo di promuovere alcun prodotto). Il procedimento – che, come anticipato, si è concluso con un provvedimento che, per quanto riguarda le asserzioni ambientali, non ha ritenuto ingannevole la pratica commerciale – ha comunque fatto sì che il professionista ponesse in essere una serie di azioni finalizzate a una maggiore compliance ambientale, anche nell’organizzazione d’impresa. Oltre a essere intervenuta più volte sul sito web aziendale, la società ha evidenziato di aver adottato, per l’appunto, un “Programma di compliance in materia ambientale - Linee Guida in materia di sostenibilità”, istituendo un’apposita funzione aziendale – quella del “Sustainability Officer” – «operante a diretto riporto con l’Amministratore delegato, con il compito di incentivare, curare e verificare la rispondenza delle scelte e processi adottati dalla società ai più elevati criteri di sostenibilità ambientale (a esempio, con riferimento alla riduzione delle emissioni nocive, alla compensazione della CO2 generata), nonché di garantire la correttezza, veridicità ed eventuali aggiornamenti dei messaggi al riguardo diffusi dalla società».
In termini generali, possiamo rilevare come solo l’applicazione delle norme, che risulteranno dal recepimento della “Direttiva Greenwashing”, consentirà di valutare l’effettiva maggiore efficacia, sotto ogni aspetto, degli strumenti offerti dalla legislazione dell’Unione per meglio contrastare le pratiche commerciali ingannevoli in materia ambientale. Lo stesso è a dirsi, qualora venisse adottata, per la Proposta di Direttiva sull'attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite del 22 marzo 2023 (così detta “Direttiva Green claims”).
Non di meno, è senz’altro possibile svolgere alcune considerazioni.
Francia e Italia hanno scelto due approcci differenti, con riferimento all’informazione di impatto ambientale dei prodotti alimentari: la prima, ha scelto di percorrere la via dell’obbligatorietà; la seconda, invece, ha “lasciato” all’àmbito della comunicazione volontaria tale tipo di informazioni. La Francia, dove è stato sviluppato il sistema di etichettatura Nutri-score, per facilitare al consumatore l’identificazione dei valori nutrizionali, ha deciso, infatti, di mettere a punto un dispositivo dal funzionamento del tutto analogo, Eco-score, nell’ottica di renderlo obbligatorio (Sous-section 1 bis, Section 2, Chapitre Ier, Titre IV, Livre V, Code de l’environnement).
Entrambi i Paesi “combattono” il fenomeno del “Greenwashing” qualificando le dichiarazioni che ne integrino i presupposti, anche in materia ambientale, come pratiche commerciali sleali (nella normativa italiana «scorrette»). Tali pratiche, che si dividono in pratiche commerciali ingannevoli e pratiche commerciali aggressive, sono, infatti, vietate in entrambi i Paesi dalle rispettive legislazioni, come armonizzate dal diritto dell’Unione (nello specifico dalla Direttiva 2005/29/CE che è confluita nei rispettivi Codici del consumo). Le pratiche commerciali ingannevoli, che possono essere realizzate sia mediante azione che mediante omissione, come noto, si dividono in condotte da valutarsi in concreto (artt. 6 e 7) e fattispecie che vengono considerate sempre e comunque ingannevoli, contenute nell’Allegato I (l’altrettanto nota “black list”). Quanto alle azioni ingannevoli, di cui all’articolo 6, ai sensi del paragrafo 1, è previsto che sia considerata come ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio riguardo a uno o più degli elementi ivi elencati; ai sensi del paragrafo 2, viene considerata altresì ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, induca o sia idonea a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso e comporti una delle attività di séguito elencate. Sulla base dell’articolo 7, è considerata ingannevole, invece, una pratica commerciale che ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio necessita per prendere una decisione consapevole di natura commerciale (anche tenuto conto degli eventuali limiti del mezzo di comunicazione utilizzato).
La Direttiva 2024/825/UE, oltre ad aver implementato la “black list” di cui all’Allegato I, ha modificato sia l’articolo 2 della Direttiva 2005/29/CE introducendo, tra le altre, alle lettere o), p), q) e r), le definizioni di «asserzione ambientale», «asserzione ambientale generica», «marchio di sostenibilità» e «sistema di certificazione», sia l’articolo 6, aggiungendo alla lettera b) dell’elenco degli elementi di cui al paragrafo 1 anche le caratteristiche ambientali o sociali, nonché l’articolo 7, prevedendo che quando un operatore economico fornisca un servizio di raffronto tra prodotti e comunichi al consumatore informazioni sulle caratteristiche ambientali o sociali dei prodotti, le informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti (così come le misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni) siano informazioni rilevanti ai fini della qualificazione di una pratica commerciale come ingannevole in quanto omissiva.
Le «Definizioni» di cui all’articolo 2 della Direttiva 2005/29/CE sono approdate, a suo tempo, per quanto riguarda la Francia, nell’articolo «liminaire à L. 823-2» del Code de la consommation, le «Azioni ingannevoli» di cui all’articolo 6 nell’articolo L. 121-2 e le «Omissioni ingannevoli» di cui all’articolo 7 nell’articolo L. 121-3, mentre la “black list” delle pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli di cui all’allegato I si trova nella “liste noire” di cui all’articolo L. 121-4.
Quanto all’Italia, dette previsioni sono sfociate, sempre a suo tempo, negli articoli 18 e da 21 a 23 del
codice del consumo, nei quali verosimilmente verranno accolte le modifiche introdotte dalla “Direttiva Greenwashing”.
Nella propria lotta all’écoblanchiment, la Francia, a ogni modo, mostra di aver mosso qualche passo in più rispetto all’Italia. Come rilevato, infatti, da un lato, sono già state adottate disposizioni più specifiche, contenute nel Code de l’environnement, per le affermazioni di neutralità in termini di emissioni di anidride carbonica dei prodotti nelle pubblicità, vietandole qualora il professionista non metta a disposizione del pubblico documentazione idonea a verificare l’esattezza delle affermazioni formulate («Allégations environnementales», Section 9, Chapitre IX, Titre II, Livre II); dall’altro, ha già introdotto nel Code de la consommation, con l’articolo 10 della Loi «climat et résilience», nel novero dei possibili oggetti delle informazioni ingannevoli, l’impatto ambientale quale caratteristica essenziale del bene o del servizio (art. L. 121-2, 2°, lett. b) e la portata degli impegni dell’inserzionista in materia ambientale (art. L. 121-2, 2°, lett. e).
Riferimenti testuali specifici verranno, invece, introdotti nella normativa italiana solo a séguito del recepimento delle modifiche alla direttiva 2005/29/CE a opera della “Direttiva Greenwashing”.